Il delicato equilibrio ormonale tra fame e sazietà

In un mondo dove i pattern alimentari sono sempre più influenzati da stress e tentazioni caloriche, comprendere il sistema ormonale che regola l’appetito è fondamentale. In questo contesto, spicca la grelina, un ormone scoperto non molti anni fa, che svolge un compito essenziale: comunica al nostro cervello la necessità di introdurre cibo. La grelina, infatti, si attiva quando abbiamo lo stomaco vuoto(1), suggerendo funzionalmente al nostro organismo l’istinto di mangiare per reintegrare l’energia esaurita. Questo ormone, insieme ad altri, è coinvolto in un sofisticato sistema di segnalazione che mantiene l’equilibrio tra fame e sazietà. Quando abbiamo consumato cibo, si verifica un’altra fondamentale interazione ormonale: l’intestino inizia a rilasciare la colecistochinina, o CCK(2,3). Questo ormone gioca un carismatico ruolo antagonista rispetto alla grelina, sopprimendo l’appetito e informando il cervello che il corpo ha ricevuto sostentamento(4). Man mano che avanza il processo digestivo, un altro attore endocrino entra in scena: l’insulina. Prodotto dal pancreas su segnalazione del fegato, questo ormone è cruciale per la gestione dei livelli di glucosio nel sangue. Una stimolazione non abituale dell’insulina dopo un pasto può indurre una sensazione di pienezza(5), influenzando la nostra decisione di concludere il pasto. Tuttavia, l’insulina non agisce da sola. Infatti, le cellule adipose rilasciano un altro ormone chiamato leptina, che completa il cerchio della sazietà segnalando ai centri di controllo situati nell’ipotalamo cerebrale che il corpo ha accumulato energia sufficiente(6). Questo meccanismo dovrebbe idealmente condurre ad una perfetta armonia tra l’introito di cibo e il suo utilizzo, mantenendo un salutare equilibrio tra la fame, la sazietà e la gestione energetica delle cellule adipose. Le cose non vanno sempre secondo natura, però. Fattori come una dieta inappropriata, disturbi come l’ipercortisolemia o l’uso di farmaci corticosteroidi possono distorcere questo delicato sistema. Quando questi eventi si verificano, il segnale leptinico può essere alterato, causando l’incapacità del cervello di registrare il comando di cessare l’alimentazione, innescando così un circolo vizioso di fame eccessiva. Inoltre, l’insulina, quando invece di picchi occasionali diventa elevata cronica, non soltanto smette di stimolare la sazietà, ma addirittura potrebbe invogliare ulteriormente l’appetito. In tal caso, la tendenza è quella di mangiare più cibo e più frequentemente sbagliato – in particolare alimenti a rapida conversione zuccherina. Una di queste “scelte sbagliate” può essere il fruttosio, spesso raccomandato come sostituto del saccarosio, ma che può portare a serie complicanze metaboliche come la resistenza all’insulina, la steatosi epatica e la sindrome metabolica(7). Queste condizioni possono a loro volta essere precursori di patologie ancora più gravi, inclusi il diabete di tipo 2, la cirrosi epatica e il carcinoma epatico, così come disordini cardiovascolari e neurovascolari gravi, come gli infarti e gli ictus. Quando sarebbe necessaria una risposta leptinica efficiente, ci troviamo di fronte ad un ulteriore ostacolo: livelli elevati di insulina possono inibire la produzione di leptina (8)e disturbare la sua comunicazione con il cervello, bloccando così l’accesso al centro di comando e perpetuando la ricerca di cibo. Questo meccanismo si autoalimenta e non conosce freni, con conseguenze che possono essere devastanti per il bilancio energetico corporeo. Consumando quotidianamente quantità insidiose di glucosio o fruttosio, celate in cibi trasformati o addizionali, l’organismo può accumulare masse grasse consistenti in tempi relativamente brevi. Ad esempio, l’assunzione giornaliera di 55 grammi di un macronutriente come il glucosio, o peggio ancora, fruttosio, nascosto o aggiunto nel cibo, potrebbe portare all’assemblaggio e all’accumulo di 1 chilogrammo di tessuto adiposo nel corpo in 45 giorni. Questi sono dati teorici, ma quanto sono realistici? Possiamo trovare i 55 grammi di glucosio o fruttosio in alcuni alimenti “non salutari” come 85 grammi di pane tipo 00, 60 grammi di gallette di riso, mezzo litro di Coca Cola, 60 grammi di corn flakes o 4 banane di medie dimensioni.

Focus
Uno squilibrio cronico dell’asse Leptina-Insulina può condurre, nel tempo, a patologie croniche gravissime come il diabete di tipo 2, l’obesità, la sindrome metabolica, la cardiopatia e la neuropatia.

Soluzione metabolica
Per affrontare questo problema, è consigliato:

Eliminare zuccheri, evitando il consumo di fruttosio in modo assoluto.
Ridurre il consumo di carboidrati in genere.
Equilibrare la dieta assumendo buone fonti di grassi, come l’olio extravergine d’oliva, l’olio di cocco, l’olio di palma vergine (rosso) e il burro.

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Bibliografia:

  1. T. Aikaterini et Alii, Impact of Ghrelin and Adiponectin on Metabolic and Cardiovascular
    Effects, in International Journal of Caring Sciences, 6 (2013), 3:349
  2. Johnson LR (2013). Gastrointestinal Physiology (Eighth ed.). Philadelphia: Elsevier/Mosby. 978-0-323-10085-4.
  3.  Bowen R (28 January 2001). “Cholecystokinin”. Colorado State University. Retrieved 6 November 2015.
  4. Chaudhri O, Small C, Bloom S (July 2006). “Gastrointestinal hormones regulating appetite”. Philosophical
    Transactions of the Royal Society of London. Series B, Biological Sciences. 361 (1471): 1187–209.
  5. Softeland, E., et al. (2011). “Effects of isolated hyperinsulinaemia on sensory function in healthy adults.” Exp Clin
    Endocrinol Diabetes 119(10): 604-609.
  6. N. Balthasar et alii, Leptin Receptor Signaling in POMC Neurons Is Required for Normal Body Weight Homeostasis, in
    Neuron, 42 (2004), 6:983–91.
  7. Dekker, M. J., et alii (2010). “Fructose: a highly lipogenic nutrient implicated in insulin resistance, hepatic steatosis,
    and the metabolic syndrome.” Am J Physiol Endocrinol Metab 299(5): E685-694.
  8. E. Asilmaz et alii, Site and Mechanism of Leptin Action in a Rodent Form of Congenital Lipodystrophy, in J Clin Invest,
    113 (2004), 3:414–24.
 

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